Tra le celebrazioni che ogni anno si perpetuano da tempo immemore, come la festa in onore della Patrona e la processione del Corpus Domini, nessuna coinvolge e rapisce un’intera popolazione come la rappresentazione dei riti della Settimana Santa, che si inscena nel nostro piccolo e gradevole paese.
Come da sempre, è sufficiente l’apparire, “deus ex machina”, dell’ urna con il Cristo deposto, accompagnato dalla bedda Matri addulurata e da Santa Maria Maddalena, nostra amata Patrona, perché si scateni, nell’intimo più recondito di ciascuno degli astanti, il riproporsi di intense e forti emozioni, causa di nodi alla gola, suggestioni che per un solo attimo hanno il potere di annientare rivalità, odi, dissapori, contrasti di sempre, che in una piccola comunità non sono infrequenti.
E’ quell’ urna luminosa a far piovere abbondanti benedizioni, quella vara scintillante di saette a scivolare miracolosamente sopra la folla, ad ondeggiare e brillare sul quel mare di teste all’imbrunire, come una nave verso la quale ciascuno di noi, come clandestino dell’anima, naufrago impaurito, cerca sicuro rifugio; come faro che risplende e ci illumina nel buio della vita, restituendoci quella fiducia e speranza che spesso svaniscono nell’oscurità delle angosce quotidiane.
Dramma Sacro – Il riscatto di Adamo – Alimena, 16 Aprile 1933 – (Coll. F.Scelfo di Alfredo).
Allora tra quei secolari lamenti, il cui intatto mistero va preservato e tramandato, tra il ritmare dei tamburi e traccole, la musica mesta ed il salmodiare, è un’intera popolazione, silenziosa e composta, che dirige lo sguardo su quella vara di cristallo, dove l’ Uomo si offre per i peccati dell’umanità e che proprio in quella rappresentazione dell’ Uomo che soffre cerca una ragione alle sofferenze vecchie e nuove, che oggi, come nel passato, accompagnano l’esistenza di ogni uomo.
E’ proprio al dolore di questo uomo che la gente si paragona; non un Re in gloria, non un potente, non un Vip fa tremare cosi nel profondo le corde del nostro cuore, quanto la visione di quell’ Uomo adagiato, inerme, cosparso di ferite, indifeso, muto nel proprio straziante dolore, nel quale ciascuno di noi riconosce il prototipo delle proprie sofferenze, in cui ogni nostro dolore si placa ed acquiesce.
E’ stato sempre così, una vibrante emozione, sin da quando i nostri padri decisero di rappresentare la passione e morte del Cristo.
La rievocazione della casazza che quest’anno si va a riproporre, con encomiabile impegno e sensibilità di giovani e meno giovani del paese, costituisce un continuum che si riallaccia alle rappresentazioni che si sono succedute ciclicamente per tutto il 900.
Ma, come dimostreremo, anche nel corso dell’ ottocento ad Alimena si allestivano queste sacre rappresentazioni, in genere al termine della lunga processione. Ed è, infatti, proprio grazie ad un documento inedito che siamo riusciti a far luce sulle origini della Casazza e sui riti della settimana Santa ad Alimena. Si tratta di una copia della minuta di un supplica, custodita dall’ attuale marchese di Alimena, architetto don Ugo Fatta del Bosco, che ringrazio per averne consentito la consultazione.
Dalla detta supplica sottoscritta dal clero, dai maggiorenti, dai mastri e da numerosi borgesi di Alimena e che risale ai primi dell’ottocento, probabilmente indirizzata al Governatore del marchese del tempo, Governatore che aveva stabile dimora in Alimena, emerge come la volontà di erigere la chiesa ed il Calvario sia stata ispirata nell’ animo della popolazione ad opera di alcuni padri venuti in missione in Alimena, a cavallo tra la fine del ‘700 ed i primi dell’800 “….la divota Popolazione di questa Comune espone che da più anni s’eresse dai padri Missionari un Calvario vicino l’abitato di questa ed ivi in ogn’anno nel giorno dei Venerdi Santo vi è commemorato il gran Mistero della Discesa del Comune Redentore, funzione tenerissima e pia…” .
Si allude chiaramente alla rappresentazione della discesa di Cristo dalla croce, che ininterrottamente ogni anno si è rappresentata. Il documento conferma, inoltre, un gran concorso di popolazione anche dai paesi vicini ed il coinvolgimento emotivo di tutti i presenti già sin dalla sua istituzione “… le lacrime poi abbondanti che si sono veduti scorrere dagl’ occhi de più induriti ed un pubblico applauso, ha maggiormente avanzato la divozione dei fedeli…“
Dal detto documento emerge ancora un dato singolare, ossia che nel corso dei primi anni dell’ 800 la processione aveva principio al mattino per terminare a sera, mentre dopo la metà dell’ 800 fu stabilito di differirla ad ora vespertina. Inoltre solo alla fine della processione e quindi il Venerdì Santo, si era consolidata l’usanza di “…eseguirsi, dopo processione, la discesa del Nostro Redentore in commemorazione del gran Mistero nel giorno del Venerdi Santo, in un luogo detto calvario vicino lo abitato e ciò in conformità degli anni scorsi….” .
E quindi appare incontrovertibile che una forma di sacra rappresentazione della morte di Cristo, oggi da noi denominata Casazza, fu allestita ogni anno dai nostri Padri al termine della lunga solenne processione e sempre utilizzando come scenario il luogo detto Calvario.
Presumo che solo nel corso dei primi anni del ‘900, quando si diffuse il testo del palermitano Filippo Orioles “Il riscatto di Adamo” stampato nel 1750 e diffuso a macchia d’ olio con una ristampa del 1916, la nostra sacra rappresentazione assumerà per tutti la denominazione di Casazza.
In realtà, come mi e stato confermato dal prof. Rosario Termotto, valente storico di Collesano e delle Madonie, è doveroso fare un distinguo fra il Martorio, che consiste in una rappresentazione fissa sul palcoscenico (ed e probabilmente quella che veniva inscenata al Calvario dopo la processione nei primi anni dell’ 800 ad Alimena, come sopra detto) e la Casazza, intesa sempre come sacra rappresentazione sulla passione e morte di Cristo, ma recitata ed itinerante (probabilmente tale trasformazione potrebbe essersi verificata con la prima rappresentazione dei primi del ‘900, allorché si adottò il testo ristampato dell’Orioles ” il riscatto di Adamo”).
Sempre il prof Termotto mi ha riferito di due ipotesi sulla origine del termine Casazza. La prima lo farebbe derivare da una tradizione genovese risalente al 1260, ove le Casacce identificavano le case in abbandono, diremmo noi in gergo locale casalini, che si trovavano sempre accanto gli oratori e dove si riunivano i flagellanti; poi identificate in oratori in cui aveva sede una confraternita o compagnia. La seconda ipotesi vorrebbe l’origine del termine Casazza dalle casacche, ossia le cappe, denominate in gergo locale, che indossavano i confrati.
Nelle Madonie sono documentate, gia a partire dal ‘600, rappresentazioni della Casazza ad Isnello. A Collesano, nel corso del ‘900, essa fu rappresentata per cinque volte (1905-1949-1975-1980-1985, con 33 quadri viventi recitati che si ripetono in nove piazze differenti – R.Termotto).
Si auspica che il riproporsi di tale importante rappresentazione costituisca il principio del recupero totale delle celebrazioni del venerdì Santo, che possano divenire il fulcro di una riscoperta della memoria, a cominciare dall’ istituzione di una scuola che tramandi alle future generazioni le parole e le note dei nostri Lamenti, sicuramente la testimonianza più importante ed originale di tutti i riti del venerdì Santo.
E concludo citando quella frase che la devozione dei portatori delle tre vare fa declamare in modo accorato e viscerale e che ho sentito, sin dalla mia primissima infanzia, risuonare con fervente devozione
…..Viva la Misericordia di Ddij..A bedda Matri Addulurata…. Santa Maria Maddalena…ll “.
Gregorio Fiasconaro