Molte manifestazioni rituali della Settimana santa sono ancora accompagnate dalle lamentanze, i tradizionali canti polivocali che hanno per tema la passione di Cristo. Essi vengono chiamati dai confrati parti o forme del latino, benchè soltanto alcuni siano in un latino che si presenta oltremodo alterato e piegato alle esigenze di emissione vocale dei cantori, la maggior parte invece in dialetto.
Era uso tradizionale ad Alimena lamentare continuativamente dalla Domenica al Venerdì santo, eccetto che durante la processione pomeridiana del Venerdì. I canti registrati nel corso della prima campagna di ricerca sono stati eseguiti dal coro dell’Ecce Homo. I confrati hanno lamentato in varie circostanze dal Mercoledì al Venerdì santo, e gli stessi canti, ad eccezione di pochi che sono particolari di alcune cerimonie, si ripetevano anche negli altri giorni della Settimana santa.
La maggior parte dei testi che qui vengono riportati sono stati recitati in occasione diversa da quella cerimoniale da Salvatore Pantano, capo-coro dell’Ecce Homo. Essi appaiono più integri rispetto a quelli delle esecuzioni originali, complete di parole e canto. Non mi è sembrato tuttavia inutile offrire, laddove appariva interessante, il raffronto fra il testo recitato e il testo cantato.
Infatti, se in generale è possibile notare che il testo assume una diversa autonomia contenutistica e formale nel suo legarsi con il canto, non meno interessante appare il fatto che anche la maggiore brevità del testo cantato si configura organicamente.
Benchè a causa del graduale processo di perdita della memoria da parte del cantore o del sempre più frequente scompaginarsi del coro, l’esecuzione originale offra un testo invariabilmente ridotto, solo in rari casi questa riduzione si presenta disorganica e dà l’immagine di un testo disgregato.
Il più delle volte esso si ricostituisce invece nel rispetto della coerenza logica e formale. Ne è un esempio questa lamentanza eseguita il Mercoledì santo durante la processione pomeridiana:
Testo recitato:
Gesù era attaccato e ccaminava
a lu munti Calvariu si nni iva
pisanti era la cruci ca purtava
c’ogni ddu passi tri bbote cadiva
Maria appriessu li passi seguiva
cu li lagrimi all’uocchi ca chianciva.
Testo cantato:
E lu munti Calvario
si nni ndava
era pisanti la cruce
o ca purtava
e ogni ddu passi
tre bboti cadeva.
Come emerge dalla lettura, il testo cantato appare più breve, ma non incoerente dal punto di vista narrativo: esso tende anzi ad isolare ciò che nel racconto si presta ad essere vissuto più drammaticamente: la scena del Cristo schiacciato dal peso della croce. Anche la struttura ritmica del verso assume una diversa andatura, come pure alcune difformità appaiono a livello dell’emissione vocale. Considerazioni non dissimili valgono anche per gli altri testi riportati. E’ cantato durante la processione del Mercoledì, ma può essere ripetuto in altre circostanze e in giorni diversi il Miserere. Sono tradizionalmente quattro le parti di questo lungo lamento che i confrati intonano « quando Cristo muore ». E’ interessante notare che le due versioni appartengono ad un unico informatore.
Testo recitato:
Miserere mai deo
secundu magnu
misericordia.Secondusi mortitudine
e di miserazionem in tuam
deliniquitate
deliniquitate a mmeo. Petsi lava meu
étici contra meu
et piccata meu. Coniu deniquitata meu
e colpe mee
e di piccata meu.
Testo cantato:
Miserere
mai deo
secuntu magno
misericordia a mmeo
misericordia a mmeo. Potci lava meo
étici contra meo
deliniquitate
deliniquitat’a mmeo
deliniquitat’a mmeo. Còntisi morti tua
éttici miserazionem tuam >deliniquitate
deliniquitat’a mmeo
deliniquitat’a mmeo.
La lamentanza che segue viene indicata dagli informatori come a cartanittisa, originaria cioè di Caltanissetta. Nella versione cantata, peraltro notevolmente abbreviata, appare caratterizzante la ripresa dei versi finali che è propria anche di altre lamentanze.
Testo recitato:
Passa Maria di na strata nova
la porta d’un firraru aperta iera
-O caru mastru chi ffaciti a st’ura
-Fazzu na lancia e ttri ppungenti chiova
-Vi prego o caru mastru di nun li fari
di nuovu vi la pagu la mastra
-Cara matri nun lu pozzu fari
ca unni cc’è Gesù cci mìntinu a mmia
Maria sintiennu st’amari paroli
nterra nni cadi e nni mori di dulori.
Testo cantato:
Passa Maria de
na strata nova
La porta d’un firraru
aperta iera
la porta d’un firraru
aperta iera.
-O caro mastro che
faciti a st’ura
-Fazzu na lancia e ttri
pungenti chiova
-Fazzu na lancia e ttri
pungenti chiova.
-Vi prego o caro mastro
di non li fari
di nuovu ve la pago
la mastria
di nuovu ve la pago
la mastria.
Recitata da Salvatore Pantano, ma intonata da Giuseppe Cappuzzo, usualmente seconda voce nel coro dell’Ecce Homo, è la lamentanza che segue. Ci troviamo qui in presenza di due varianti: in questo caso la seconda voce che sostituisce per motivi di stanchezza Pantano, ha combinato diversamente ma non incoerentemente, parti di canti differenti.
Testo recitato:
Lu vénnari di marzu è dulurusu
Cristu bbonignu a la cruci fu mmesu
cu ddi chiova a li manu e n’atru gnusu
a curuna ntesta e cu lu cuorpu appesu.
Testo cantato:
Lu vénnari di marzu
addulurusu
Cristu bbenignu
a la stranìa
Cristu bbenignu
a la stranìa.
Cu ddu chiov’a li manu
e n’atru gnusu
e cu na lancia
l’à ttraforatu
e cu na lancia
l’à ttraforatu.
Sempre intonato da Cappuzzo é il lamento in cui il Cristo annuncia alla madre l’avvicinarsi della passione:
Testo recitato:
Mamma ca mi nni vaiu a le tormenta
ca s’avvicina la simana santa
-Tu figliu figliu cuomu ti nni vai
comu sula mi lassi a la stranìa
-Mamma cci lu lassu lu cunfuortu
cci lassu a Pietro a Giacomo a Giovanni
iddu t’adurerà mmeci di mia.
Testo cantato:
Mamma ié mi nni vaiu
a lu turmentu
ca s’abbicina la
simana santa
ca s’abbicina
la simana santa.
Fillu vunni va to
sula mi lassi
comu sula mi lassi
a la stranìa
comu sula mi lassi
a la stranìa.
E la sappi […]
chiam’a Giuvanni
iddu t’adorerà
a pparti mia
iddu t’adorerà
a pparti mia.
Del tutto incomprensibile appare la registrazione originale del seguente testo:
Testo recitato:
Era nta ll’uortu di Gerusalemme
a un trattu lu pigliaru quattru brutti
ncuoddu lu cunnuceru tutt’a nnotti
Giuda davanti, appriessu la curti
Maria iva gridannu a vvuci forti
Cristu dissi mpùbblicu di tutti
-Pacienzia o matri mia, vaiu a la morti.
Giovedi santo
Alcune delle lamentanze cantate in questo giorno sono state eseguite alla Matrice. Negli intervalli della predica sulla passione il coro dei confrati ripete il Miserere e a cartanittisa, alla fine dei quali esegue un lungo lamento ricordato come i parti â cruci, cioè le parti della croce.
Testo recitato:
-Gésu miu la sagra testa comu di spine fu ncurunatu
-Sono stato i miei peccati, Gèsu miu perdunu pietà
-Gésu miu i sagrati uocchi ncielu e nterra fuoru affissati
-Sono stato i miei peccati, Gesu miu perdunu pietà
-Gésu miu a sagrata bbocca fele d’acietu fu vvelenatu
-Sono stato i miei peccati ……….
-Gésu miu u sagru costatu comu na lancia fu ttraforatu
-Sono stato i miei peccati ……….
-Gésu miu i sagrati gginocchi comu 1’aranci fuoru scurciati
-Sono stato i miei peccati ……….
-Gésu miu i sagrati bbraccia cu ddu chiova fuoru appizzati
-Sono stato i miei peccati ……….
-Gésu miu i sagrati piedi com’un chiovu fu ttraforatu
-Sono stato i miei peccati ……….
Testo cantato:
Gesù mio
la saga testa
comu di spine
ti ncurunà
comu di spine
ti ncurunà.
Sono stato
i miei peccati
comu di spine
ti ncurunà
comu di spine
ti ncurunà.
Gésu mio
la saga testa
Gésu mio
perdun-e ppietà
Gésu mio perdun-e ppietà.
Come appare evidente l’esecuzione registrata nel vivo della cerimonia offre un testo estremamente impoverito. E’ comunque da osservare che il lamento viene intonato da Giuseppe Cappuzzo, seconda voce del coro, e dunque non interamente padrone del testo. Egli pertanto tende a ripetere il verso che nella esecuzione corretta viene ripreso appunto da chi fa la seconda voce.
Nel corso della processione in cui si effettua la cerimonia dell’adorazione della croce, i confrati e i fedeli intonano insieme la tradizionale Salve Reggina Addilirusa. Il testo qui riportato e lo stesso che Salvatore Pantano ha trascritto di suo pugno, in altra occasione.
De salvo salvo Reggina bui matri addilurusa
vi sia raccumannata o starma mia
na grazzia vurria che sia stu cori ingrato
feruta e trapassata la vostra spata
la vita mia e passata fra tanti gran peccati
pregaci a dio priga per vostro a vostro figlio
noi dessiri in consiglio e sempre contiplari
sospira e lagrimare o li mia arruri
stu cori cu un dilura spezzati migliu vui
picari non voglio chiù chiù tosto morti
a noi dessere in conforto fina all’ultima agonia
vi prego o madre o mia non mi lasciati
starma mia in cielo portati a vui matri amurusa
in cielo e gloriusa aternamente
e io con laltra mente gridava quannu arriva
viva la matri viva la Addilurata.
Sempre il Giovedì nelle ore serali, durante la processione della fiaccolata, oltre al lungo canto già ricordato come i parti â cruci, che Salvatore Pantano afferma essere particolare di questa cerimonia, vengono eseguite anche le altre lamentanze, ad esclusione della Salve Reggina.
Venerdì santo
Ora l’uno ora l’altro dei canti già presentati vengono intonati dalle confraternite durante la visita mattutina ai sepolcri. E’ da sottolineare invece l’esecuzione di una lamentanza conosciuta come Popolo meo, che i confrati dell’Ecce Homo cantano per tutto il tempo che dura la cerimonia della adorazione della croce nella chiesa dell’ex Convento, subito dopo le 15. Secondo la testimonianza di Salvatore Pantano il coro e strutturato in: << prima voce, tre secondi, basso primo, basso secondo, mezzo basso >>.
Popolo meo
popolo meo
tebis ti criò
avom in corda
avom in corda stàbbile
rispòn
risponde mica
risponde mica
risponde mica
risponde mica.
Cantata tradizionalmente al ritorno dalla visita al Calvario è la lamentanza ricordata come a cartanittisa, ma insieme ad essa vengono anche ripetute i parti â cruci e altre lamentanze. Lo stesso avviene dopo lo scioglimento della processione vespertina, quando le confraternite riaccompagnano al Calvario la vara del Cristo. E’ questa l’ultima circostanza in cui i confrati lamentano durante la Settimana santa.