Festival
Natalizio Alimena 2004 |
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IL NATALE |
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Le usanze di Alimena in occasione delle feste natalizie erano l'esaltazione della mistica ricorrenza ed avevano molti punti di contatto con quelle degli altri paesi delle Madonie. Alcune di esse purtroppo sono scomparse dopo la II guerra mondiale, come la preparazione in casa del grande presepe, davanti al quale la famiglia si raccoglieva insieme con amici e parenti per recitare o cantare la novena in dialetto con l'accompagnamento di qualche strumento a fiato o della cornamusa («'A ciaramedda»). Ora in tutte le case lampeggia l'albero di Natale e solo pochi conservano la tradizione, ma allestiscono piccoli presepi. Non si recita più la lunga novena, che racconta la storia della natività.
Con questi versi l'autore ignoto introduceva i fedeli al racconto dell'avvenimento più eclatante e misterioso del mondo nella misera grotta della lontana Betlemme. La novena veniva anche cantata con l'accompagnamento di due o tre strumenti della banda locale davanti alle edicole (o tabernacoli), vicine alle porte di casa, ed era motivo di attrazione per i vicini e per i numerosi bambini, ai quali, alla fine, venivano distribuiti dalla padrona di casa ceci e fave abbrustolite e qualche dolcino di Natale. La sera della vigilia si preparavano delle semplici crispelle con l'impasto per il pane “I guasteddi”, poi condite con zucchero e miele.Nella cena abbastanza frugale della maggior parte non mancavano “i carduna fritti”, cioè i cardi ed un buon bicchiere di vino, prodotto nel pezzetto di vigna coltivata vicino al paese. Durante la novena, ogni mattina alle ore 5, la campana chiamava i fedeli alla Messa e là accorrevano numerose donne avvolte in grandi scialli di lana nera a spugna .Un prete suonava l'organo, aiutato negli ultimi anni da un cieco (Antonio Ganci Climenti) che muoveva i tiranti. Nella notte di Natale, qualche attimo prima della mezzanotte, il prete, Padre Antonino Scelfo, invitava il cieco a tirare con questa frase, rimasta proverbiale fra i cittadini: “Tira, Nto' ca nasci u Bamminu” (Tira, Antonio, perché nasce il Bambino). In questa espressione innocente c'era tutta la magia del Natale, sentito profondamente. Sinonimo del Natale alimenese sono “I cucchi”, pasticcini preparati anticamente con sfoglia impastata semplicemente con olio e farina e poi farcita con uva asciugata all'aria aperta (grossi grappoli pendevano dai soffitti, appesi alle travature scoperte di tante case, non solo contadine) con mandorle abbrustolite e tritate impastate con fichi secchi; il tutto spolverato di cannella. Successivamente il dolce si fece più ricercato e così nacquero gli attuali pasticcini di pasta frolla, riempiti di un impasto a base di uva passa, marmellata di fichi, mandorle abbrustolite ed aromatizzato con cannella. Una variante si ottiene preparando il contenuto con mandorle spellate, tritate ed impastate con zucchero, un po' d'acqua ed essenza di limone. Caratteristico era allora il “piede di gallina”, piccolo arnese usato per smerlare i pasticcini, ora sagomati con le formelle. Per finire ricordiamo la dolcissima nenia, tutta soffusa di tenerezza materna, che le donne solevano cantare ai neonati:
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FESTIVAL NATALIZIO |
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