E’ morta la poetessa Alda Merini: l’omaggio di Vecchioni
“Noi qui dentro si vive in un lungo letargo, si vive afferrandosi a qualunque sguardo,contandosi i pezzi lasciati là fuori, che sono i suoi lividi, che sono i miei fiori”.
Inizia così la canzone che Roberto Vecchioni ha dedicato nel 1999 alla grande poetessa milanese, scomparsa oggi all’età di 78 anni.
Un testo delicato e profondo, dedicato al periodo passato dalla Merini in manicomio.
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[audio:vecchioni_alda_merini.mp3]
IL TESTO DELLA CANZONE
Noi qui dentro si vive in un lungo letargo,
si vive afferrandosi a qualunque sguardo,
contandosi i pezzi lasciati là fuori,
che sono i suoi lividi, che sono i miei fiori.
Io non scrivo più niente, mi legano i polsi,
ora l’unico tempo è nel tempo che colsi
qui dentro il dolore è un ospite usuale,
ma l’amore che manca è l’amore che fa male.
Ogni uomo della vita mia
era il verso di una poesia
perduto, straziato,
raccolto, abbracciato.
Ogni amore della vita mia
ogni amore della vita mia
è cielo e voragine,
è terra che mangio
per vivere ancora.
Dalla casa dei pazzi, da una nebbia lontana,
com’è dolce il ricordo di Dino Campana;
perchè basta anche un niente per essere felici,
basta vivere come le cose che dici,
e divederti in tutti gli amori che hai
per non perderti, perderti, perderti mai.
Cosa non si fa per vivere,
cosa non si fa per vivere,
guarda! Io sto vivendo.
Cosa mi è costato vivere?
Cosa l’ho pagato vivere?
Figli, colpi di vento…
La mia bocca vuole vivere!
La mia mano vuole vivere!
Ora, in questo momento!
Il mio corpo vuole vivere!
La mia vita vuole vivere!
Amo, ti amo, ti sento!
Ogni uomo della vita mia
era il verso di una poesia
buttata, stracciata,
raccolta, abbracciata.
Questo amore della vita mia,
ogni amore della vita mia,
è cielo e voragine,
è terra che mangio
per vivere ancora.
E’ morta a Milano la poetessa Alda Merini. Aveva 78 anni. Era ricoverata all’ospedale San Paolo da una decina di giorni per un tumore osseo. Viveva in condizioni di quasi indigenza (una scelta di vita basata su una sorta di “noncuranza”) tanto che i pasti quotidiani le venivano portati dai servizi sociali comunali. Ha cantato gli esclusi e ha vissuto sulla sua pelle una delle peggiori forme di esclusione: la malattia mentale. Negli ultimi anni, per una strana contraddizione, era diventata quasi popolare: abbastanza frequenti le sue apparizioni in Tv dove, con la sua voce arrochita dal fumo, diceva sempre cose profondissime e, nello stesso tempo, del tutto comprensibili al grande pubblico. Grazie a lei, molti si erano avvicinati alla poesie. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, saputo della scomparsa si è detto profondamente rattristato: “Viene meno – ha aggiunto – una ispirata e limpida voce poetica”.
Era considerata la più grande poetessa italiana vivente. Nata in una famiglia poco abbiente (il padre era impiegato in una compagnia di assicurazione, la madre casalinga) la Merini esordì ad appena 15 anni con una raccolta “La presenza di Orfeo” curata dall’editore Schwarz. E, mentre già attirava l’attenzione della critica, la prodigiosa ragazza incontrava difficoltà nel mondo della scuola “normale”. Venne infatti respinta quando tentò di entrare al liceo Manzoni. Dissero che non era stata sufficiente nella prova d’italiano.
E da lì in avanti, la sua vita è sempre stata al confine tra il riconoscimento della sua eccezionale capacità poetica e la difficoltà dovuta alla malattia. Malattia mentale che la portò al ricovero di un mese a Villa Turro nel 1947. Lei stessa ne ha sempre parlato e scritto definendo la sua sofferenza psichica come “ombre della mente”. Nel tempo ha saputo convivere con queste “ombre” e, anzi, per certi versi il dolore che ha attraversato le è servito per scandagliare più in profondità l’animo umano.
Così Alda Merini ha spiegato ad Antonio Gnoli l’uscita dalla malattia, in un’intervista a Repubblica : “Per me guarire è stato un modo di liberarmi del passato. Tutto è accaduto in fretta. L’ultima volta che sono stata all’Istituto che mi aveva in cura per depressione mi è accaduta una cosa che non avevo mai provato. Una mattina mi sono svegliata e ho detto: che ci faccio io qui? Così è davvero ricominciata la mia vita. Ho ripreso a scrivere e ho perfino trovato quel successo che non avrei mai pensato di ottenere”. Sul successo Alda ride con voce roca e lenta e poi aggiunge: “Il successo è come l’acqua di Lourdes, un miracolo. La gente applaude, osanna e ti chiedi: ma cosa ho fatto per meritare tutto questo? Penso che la folla, anche piccola, che ti ama ti aiuta a vivere. In fondo un poeta ha anche qualcosa di istrionico e di folle. Per questo il manicomio è stato per me il grande poema di amore e di morte. Ma anche questo luogo oggi è distante. Mi capita a volte di rivederlo in sogno. Io sogno tantissimo. E tra i sogni ne ricorre uno: sono dentro a un luogo chiuso, e io che cerco le chiavi per uscire. Forse sono mentalmente ancora in quel luogo che mi ha ucciso e mi ha fatto rinascere. Mi sento una donna che desidera ancora. Oggi per esempio vorrei che qualcuno mi andasse a comprare le sigarette. Non ho mai smesso di fumare, né di sperare”.
Fin dai primi anni del suo lavoro poetico, conobbe e frequentò maestri come Quasimodo, Montale e Manganelli che la sostennero e promossero la pubblicazione di sue opere. Dopo “La presenza di Orfeo” (e alcune poesie singole pubblicate in diverse antologie), escono “Nozze romane” e “Paura di Dio”. La Merini, nel frattempo si era sposata con Ettore Carniti (1953) e aveva avuto la sua prima figlia Emanuela. Al pediatra della bambina aveva dedicato la raccolta “Tu sei Pietro” (1061).
Comincia qui un altro periodo difficile costellato di ricoveri dolorisissimi e di ritorni a casa sempre difficili ma anche allietati dalla nascita di altri tre figli. Con un lungo periodo al “Paolo Pini”. Dal 1972 al 1979 la situazione, a poco a poco migliora e la poetessa torna a scrivere. E, con grande coraggio, racconta in poesia e prosa la sua esperienza (“La Terra Santa”).
Rimasta vedova nel 1981, si risposerà con il poeta Michele Pierri (1983) e con lui andrà a vivere a Taranto e ancora incontrerà i fantasmi della sua mente. Nel 1986 tornò a Milano dove ha sempre vissuto fino alla morte. E di questo ultimo ventennio sono la maggior parte delle sue opere più note: “La vita facile”, “La vita felice”, “L’altra verità. Diario di una diversa”, “”le parole di Alda Merini”, “Folle, folle, folle d’amore per te”, “Nel cerchio di un pensiero”, “Le briglie d’oro” e tante altre. Compreso “Superba è la notte” un tentativo di Einaudi di sistemare le poesie scritte tra il 1996 e il 1999.
Sul suo sito, accanto alla foto con i capelli scarmigliati, lo sguardo profondo e l’immancabile sigaretta in mano, tre versi: “(Sono una piccola ape furibonda.) Mi piace cambiare colore. Mi piace cambiare di misura”.
I frati francescani di Assisi, raggiunti dalla notizia, si sono riuniti in preghiera: “La comunità francescana del Sacro convento di Assisi affida al Signore l’ anima della poetessa Alda Merini e partecipa al dolore di chi sta soffrendo per la sua perdita”. Lo ha detto il custode del Sacro convento, padre Giuseppe Piemontese.
Tra la Merini e i francescani, infatti, c’era un rapporto particolare che, in qualche modo, faceva parte del suo più recente modo di essere con quella sua straordinaria apertura al mondo più semplice e alle altre arti meno “colte”. Circa due anni fa, infatti, nella Basilica superiore, si tenne un concerto di Lucio Dalla ispirato ai versi di Alda Merini. Lei ne era orgogliosa e i francescani si erano innamorati di questa donna e del suo modo scontroso ma dolcissimo di esistere.
(fonte: repubblica.it)
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