Alimena Estate 2012 – Presentazione e videoproiezione del cortometraggio “Alimena, antichi mestieri & memoria” del progetto “Conoscere per Riprodurre” e proiezione “Attività contadine ad Alimena” di Enzo Albanese (video)

Alimena Estate 2012 - Presentazione e videoproiezione del cortometraggio

Ieri sera, Lunedì 27 Agosto 2012, in piazza Regina Margherita, sono stati presentati i cortometraggi “Alimena, antichi mestieri & memoria” che rappresenta il lavoro finale del progetto “Conoscere per Riprodurre”, iniziato circa un anno fa (con l’intento di contribuire a realizzare un contesto favorevole all’ interno del quale 100 giovani madoniti, di cui 6 alimenesi, di età non superiore ai 26 anni, hanno potuto recuperare la conoscenza degli antichi mestieri e la rispettiva cultura immateriale) e “Attività contadine ad Alimena” di Enzo Albanese, dove grazie alla disponibilità degli anziani locali si sono rievocate le fatiche che gli stessi, con grande dignità, hanno sopportato in tempi in cui sbarcare il lunario constava di enormi sacrifici, consegnando alla memoria della nostra comunità altri frammenti della vita d’altri tempi.

Intrecci di spighe e di di palme

Alimena è un paese tipicamente contadino e la sua essenza si riflette, in maniera speculare, nei mestieri e nelle arti più antiche. In una piccola comunità la cui economia si basava quasi esclusivamente sulla coltivazione del grano e la cui sussistenza dipendeva fortemente dagli abbondanti raccolti, non è strano che, spesso, le povere pareti delle case erano ornate con particolari intrecci, a mò di passatempo o semplicemente per esprimere la propria creatività con i poveri strumenti che si avevano a disposizione e perché no per propiziare un ricco raccolto o, ancora, per riprodurre i simboli di una fervente religiosità. Anticamente si coltivava una tipologia di grano che produceva una spiga particolarmente alta, ma estremamente delicata e che permetteva di realizzare migliori intrecci. Oggi i pochi artigiani rimasti sono costretti a lavorare con una spiga diversa. Le spighe vengono raccolte a mano nel periodo della mietitura del grano e, successivamente, se intrecciate in un periodo diverso, dovranno essere immerse in acqua per raggiungere una maggiore flessibilità nella lavorazione. L’intreccio della spiga è un vero e proprio ricamo, un procedimento che solo gli artisti nel settore realizzano ad occhi chiusi. Si parte dal disegno di base realizzato intrecciando quattro spighe. Più spighe vengono impiegate maggiormente complesso e raffinato sarà l’intreccio sino all’assemblaggio di più mazzetti intrecciati tra loro. L’artigiano che abbiamo incontrato realizza dei piccoli lavori di design anche tramite l’uso di supporti in materiale diverso, un bel modo, questo, di fondere ciò che arriva dal passato con le infinite declinazioni offerte dal presente. Gli intrecci di palme, nati, forse, semplicemente per trascorrere il tempo, hanno, oggi, un significato prettamente religioso; vengono infatti realizzati in occasione della domenica delle palme. La palma per esser lavorata deve essere giovane e morbida, le foglie vengono aperte in due e successivamente intrecciate. Mariasanta Tedesco

I furrizza

Come trascorreva il suo tempo un piccolo pastore degli anni trenta nelle campagne alimenesi?? Forse per imitazione, sicuramente per curiosità, dotato di fervida creatività e straordinaria conoscenza dei doni della natura diventava, lentamente, quello che oggi definiamo un artista–artigiano, uno dei pochi rimasti nel settore. La costruzione dei cosiddetti “firrizzi” è un’arte antica nel nostro piccolo paese. Si tratta di sgabelli realizzati con la pianta di ferla, dal latino ferula communis, volgarmente conosciuta come Finocchiaccio e particolarmente diffusa nel bacino mediterraneo. I fusti fioriferi vengono raccolti in estate quando sono ormai secchi e, privati delle ombrelle, in seguito, vengono ripuliti e tagliati in base alla misura che si desidera. Con laboriosa pazienza e molta attenzione si realizza, dapprima, il sedile dello sgabello e poi, pian piano, si assemblano le varie altre parti , una dopo l’altra. Nello specifico la ferla viene forata in due punti con un arnese appuntito e cucita a “scaletta” , solitamente con la verga di olivo, ma oggi, per comodità, si utilizza anche del fil di ferro. Il nostro straordinario artigiano è un delizioso nonnino di ottanta anni e più che ha realizzato, accanto ai tipici “firrizzi” alimenesi, altri piccoli gioielli come il delizioso presepe mostratoci . . Mariasanta Tedesco

“U Salinaru” e la Raffinatura del Sale

… Camminando per le strade di Alimena, sino agli anni 40′, ogni abitazione, rigorosamente costruita con la tipica pietra bianca del luogo, era munita di strane pietre “preziose”, poste appena fuori la porta d’ingresso o negli immancabili sottoscala. Ai tempi nessuno, o quasi, acquistava il sale e , come per ogni cosa, ci si ingegnava nella maniera più economica , ma anche, purtroppo, faticosa possibile. Nulla era scontato, anche un ingrediente fondamentale sì, ma semplice e di largo consumo, era frutto di un duro lavoro e prevedeva dei mestieri che noi oggi completamente sconosciamo, perché spariti con l’incalzare dei tempi moderni. Prima che arrivasse l’inverno, ai tempi in cui l’uomo viveva in piena armonia con la natura, tempi in cui la scansione dei mestieri ricalcava le stagioni, e quindi, prima che le copiose piogge rendessero il cammino più difficile, ogni capo famiglia si adoperava per procurare il sale che sarebbe servito per l’anno a venire. Ci si recava con i fedeli muli o con gli asini presso le cosiddette saline, zone di campagna conosciute dagli uomini del tempo come cave di sale e si commissionavano al “salinaru” dei massi di sale, estratti a suon di picconi e zappe. Si riempivano, poi, i “cancieddi”, dei capienti contenitori legati ai muli, uno a destra e uno a sinistra, e si faceva strada. Al costo di 5 lire o poco più per ogni carico di sale si mangiava per tutto l’anno. Si distinguevano due tipi di sale, quello nero, impuro, che a seguito della casalinga raffinatura veniva utilizzato dalle massaie, come il nostro sale grosso, per conservare gli alimenti (olive formaggi e via dicendo) e, quello ricavato dal cuore del sale , più puro, e utilizzato, invece, per gli usi quotidiani, l’attuale sale fino. Gli strumenti della lavorazione erano proprio quelle strane pietre che tutti possedevano, pietre di fiume, raccolte, cioè, a riva o nei letti del fiume e le cui acque rendevano particolarmente levigate e funzionali. E proprio nelle fiumare si andava alla ricerca del cosiddetto“valatuni”, una pietra ampia, di forma piatta, ma con una lieve concavità che permettesse i movimenti tipici della lavorazione, e del “cuticchiu”, un piccolo ciottolo, maneggevole, che serviva per frantumare e lentamente macinare il sale sul “valatuni”, sino ad ottenere la raffinatura desiderata. Nel caso in cui la ricerca delle pietre (che una volta scovate venivano gelosamente custodite presso ogni dimora e utilizzate per gli usi più svariati, per esempio per snocciolare le olive) avvenisse nei periodi in cui il fiume era in secca, occorreva ripulirle dal calcare formatosi strofinandole con olio o lavandole accuratamente. Come avveniva la raffinatura? Erano le nostre laboriose nonne che se ne occupavano, un duro lavoro di polsi. La raffinatura del sale che si ripeteva più volte, poiché la sua conservazione era piuttosto complicata, era anche un momento di forte condivisone in un periodo in cui la solidarietà e la socialità erano valori fondamentali di quel meraviglioso microcosmo, fatto sì di piccoli malintesi, di sgarbi e pettegolezzi, ma anche e soprattutto di amicizie reali, di risate e tanta fatica, chiamato vicinato. Mariasanta Tedesco

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  1. […] a cura dei Giovani Amministratori Madoniti ed Enzo Albanese (vedi articolo) […]

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